Lavoro remotizzato e pandemia, a che punto siamo. Una sfida per la SLC CGIL
Tra i vari cambiamenti che la pandemia da Coronavirus ci ha imposto, quello che più ha inciso nel mondo del lavoro è senz’altro quello della remotizzazione, entrato anche nel linguaggio comune con nuove formule come “smart working” o “lavoro agile”, ancora poco note fino all’inizio del 2020.
Le lavoratrici e i lavoratori, dove possibile, sono stati velocemente spediti a casa con la strumentazione basica per poter svolgere le loro mansioni fuori dalle sedi aziendali, diventati luoghi di possibile diffusione del virus, senza alcun accordo sindacale né a livello nazionale né di secondo livello.
L’impatto della nuova modalità di lavoro è stato forte soprattutto sulla nostra categoria. La SLC conta in maggioranza posti di lavoro nel settore delle telecomunicazioni, il più votato e il più facile allo svolgimento del lavoro agile, anche se le aziende sono sempre state restìe ad applicare la remotizzazione, ancora troppo legate all’organizzazione del lavoro novecentesca, impostata sul controllo “da vicino” del lavoratore.
A due anni dall’inizio dello stato di emergenza a che punto è la notte? Perché di notte si tratta quando si brancola nel buio di una regolamentazione ancora di là da venire. Dopo un così lungo periodo in cui tutte le regole sono state bypassate dai vari DPCM del governo, è lecito stilare un bilancio e cominciare a guardare oltre la pandemia.
Nella realtà astigiana Comdata, outsourcer attivo nella fornitura di servizi di consulenza alle imprese e nel servizio clienti al settore bancario ed energetico, è stata uno dei primi laboratori della remotizzazione con circa 400 dipendenti collocati a lavorare da casa. E’ da sottolineare che di semplice trasferimento della postazione lavorativa si tratta e non di quello che viene indicato come “lavoro agile”, secondo il quale lavoratitici e lavoratori possono scegliere gli orari di lavoro e concordare gli obiettivi da raggiungere con l’azienda con la libertà di perseguirli nel modo più congeniale all’operatore. La prestazione lavorativa remotizzata in Comdata viene erogata allo stesso modo del lavoro in sede con l’aggiunta di ulteriori strumenti di controllo sulla produttività.
Diversi sono i feedback raccolti dalla RSU CGIL tra lavoratori e lavoratrici di Comdata: la conciliazione dei tempi di lavoro e dei tempi di vita familiare, con il risparmio di quelli necessari al raggiungimento della sede aziendale è l’elemento positivo più apprezzato del lavorare da casa. Ma, a fronte di questo punto a favore, molte sono le criticità che dovranno necessariamente essere affrontate nelle prossime contrattazioni tra le parti sociali. Innanzitutto la necessità di ricevere supporto a distanza sulle procedure operative e sugli aggiornamenti in tempi ragionevoli, cosa che costituisce elemento di alienazione per chi deve svolgere un lavoro per cui non si sente preparato, “abbandonato” dallo staff che dovrebbe prestarsi ad una risposta costante e puntuale.
Subito dopo è necessario stabilire delle regole di applicazione degli strumenti di monitoraggio della produttività che possono facilmente sfociare nel controllo a distanza sul singolo operatore, non consentito dalla legge. Urge stabilire, inoltre, regole certe per il diritto alla disconnessione, che per chi lavora da casa si sta rivelando la fonte principale di stress da lavoro correlato, con la preoccupazione continua di aver perso importanti comunicazioni dell’azienda e dello staff.
Non sono poi da trascurare le regole sull’utilizzo degli strumenti lavorativi che in questa fase di emergenza sono rimasti a carico delle lavoratrici e dei lavoratori come il costo della connessione internet (solo parzialmente rimborsata dall’azienda) e dell’uso dell’energia elettrica e del riscaldamento che grandi aziende del settore hanno già riconosciuto ai dipendenti con accordi di secondo livello.
E’ ora di superare questo “far west” in cui tutto è lecito e nulla e consentito, in cui le lavoratrici e i lavoratori restano in balìa di regole create sul momento e non condivise, in cui l’orizzonte di ciò che le aziende possono fare si sposta sempre un po’ più in là e non può essere discusso né rimodulato, per rientrare in una cornice contrattuale certa. Il perdurare della pandemia non può più essere motivo per rimandare la contrattazione su una modalità lavorativa che sarà sempre più applicata in futuro. Lo stress-test dell’emergenza sanitaria sulla remotizzazione ha chiaramente messo in evidenza i lati positivi del lavoro agile e non si tornerà indietro sulla sua applicazione. Il sindacato è quindi chiamato a chiedere una regolamentazione in cui lavoratrici e lavoratori si sentano sicuri di poter svolgere il loro lavoro in un contesto stabile in qui siano stabiliti diritti e doveri.